«Processo a Oscar Wilde»
Nel pomeriggio di martedì 27 novembre 2018 presso l’Aula Aemilia del Palazzo di Giustizia di Reggio Emilia, sotto gli alti uffici della Fondazione Giustizia di Reggio Emilia, dopo la conversazione sul tema «Il coraggio delle proprie idee», si è celebrato il processo a Oscar Wilde
Il celebre procedimento giudiziario è stato introdotto dal cancelliere Cesare Mattioli,
e il dibattimento è stato aperto con una durissima requisitoria del magistrato dell’accusa Dott. Antonio Salvati,
alla quale ha fatto seguito l’intensa arringa dell’avvocato difensore del Wilde, Fabio Canino.Al termine dell’acceso confronto tra accusa e difesa, il giudicante, l’Ill.mo Avv. Giulio Terzi
e la Giuria Popolare,
si sono ritirati in camera di consiglio per emettere le decisioni di rispettiva competenza.
* * *
Il verdetto della Giuria popolare ha assolto l’imputato, mentre l’Ill.mo Sig. Giudice ha pronunciato la seguente sentenza
IMMAGINARIO TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA
Sentenza nell’immaginario processo contro Oscar Wilde
Ci si potrebbe domandare qual è la differenza tra una sentenza di condanna a morte emessa da un giudice e un linciaggio del reo da parte di una una folla inferocita. La morte del reo è evento comunque previsto, ed anzi voluto. Ritenuto giusto da una collettività di persone sulla base di un giusto processo con regole prestabilite. Allora perché nel primo caso parliamo di giustizia e nel secondo caso di orrido linciaggio?
Perché nel primo caso è la legge che dispone, al di là e al di sopra di ogni sentimento.Oppure, per dirla da un altro ben distante punto di vista, citando “L’unico e la sua proprietà” di Max Stirner, libro e idee non raccomandabili, se non ad esperti “piloti” del pensiero e comunque da maneggiare con cura: «nelle mani dello Stato la forza si chiama diritto, nelle mani dell’individuo si chiama delitto»; «lo Stato chiama “legge” la propria violenza e “crimine” quella dell’individuo».
Queste ultime esasperazioni colgono anch’esse l’essenza del problema.
Il mondo nasce dal caos e al caos tende sempre ritornare.
Non c’è elemento più rapidamente degenerabile del consorzio umano lasciato senza regole e libero di agire in selvaggia libertà.
Il libero arbitrio è materiale altamente infiammabile, perché pochi sanno positivamente indirizzarlo, mentre i più se ne approfittano a proprio vantaggio e in danno di altri.
Homo homini lupus! Tutti lo imparano ben presto.
Per questo, a partire dai primi agglomerati di cavernicoli sino ai giorni nostri, l’uomo ha avvertito, biologicamente (si direbbe come fanno api e formiche) la necessità di organizzarsi e di controllare i rapporti interpersonali e sociali, dandosi e imponendo delle regole e via via affinandole.
La storia delle civiltà è contrassegnata da ordinamenti tendenzialmente in evoluzione, anche se diversi.
Jean Jacques Rousseau ha teorizzato a metà ‘700 questa esigenza organizzativa, il Contratto sociale, per «trovare una forma di associazione che difenda e protegga, mediante tutta la forza comune, la persona e i beni di ciascun associato e per mezzo della quale ognuno, unendosi a tutti, non obbedisca tuttavia che a se stesso e rimanga libero come prima».
Ciò avviene attraverso la legge, che dispone e impone.
Senza legge non c’è Stato, non c’è protezione e nemmeno libertà. La legge è necessaria.
Sappiamo che la legge può essere non buona e talvolta non giusta perché, a fronte della molteplicità delle esigenze e degli interessi dello Stato e delle persone, può adottare soluzioni incomplete od orientate.
E sappiamo pure che la legge è lenta ad adattarsi all’evoluzione della società, dei costumi della morale, degli interessi diffusi o di categorie di persone.
Ma la rincorsa della legge viene spesso favorita e anticipata dalla giurisprudenza, che nel decidere sui casi concreti può cogliere in tempo reale lo spirito del tempo e promuovere l’interpretazione evolutiva della legge o denunciarne le mancanze, stimolando il legislatore o la Corte Costituzionale ad intervenire.
Rimane però fermo il fatto che la legge non può essere interpretata soggettivamente.
La legge va rispettata da chiunque così com’è, anche se arretrata, malfatta, ingiusta.
Ci sono gli strumenti per soccorrere le storture individuali o collettive: il processo, il voto, la politica, la protesta civile, le petizioni popolari, il referendum.
Essi non assicurano immediatezza di risultato, lo riconosco, ma le regole ed i percorsi consentiti in uno Stato di diritto sono questi. Ci si deve affidare sempre alla legge e al processo!
Questo Giudicante ben comprende che l’arretratezza della legge o un suo conformismo ad un profilo morale superato o superabile possono risultare intollerabili agli spiriti più sensibili e alle persone intellettualmente più dotate, come è il signor Oscar Wilde.
Ma si consoli che non è isolato nella storia, sol che si pensi, restando in Italia e a tempi non lontani, alla censura che mandò al rogo i rulli cinematografici de “L’ultimo tango a Parigi” (per fortuna ci fu chi violò la legge e ne nascose una copia!) del Maestro Bernardo Bertolucci, deceduto ieri, o alla persecuzione giudiziaria che per anni segnò la vicenda umana e artistica del più lucido, libero, onesto e profetico intellettuale italiano (l’ultimo?), Pier Paolo Pasolini.
Anche il signor Oscar Wilde doveva rispettare la legge e non cercare, con sommo peccato di superbia e con oltraggio alla legge stessa, di affermare la prevalenza del sentimento su di essa.
Per tutta la vita egli commise peccato di superbia tanto da dire, da perfetto impenitente, pur se in odore di pentimento, ad André Gide: «Volete sapere qual è stato il grande dramma della mia vita? E’ che ho messo il mio genio nella mia vita; tutto quello che ho messo nelle mie opere è il mio talento».
Seppure il Criminal Amendment Art, che puniva gli uomini che praticavano atti sessuali tra di loro con “gross public indecency”, fu legge ipocrita, essendo costume corrente in ogni ceto sociale e ambiente dell’Inghilterra vittoriana la pratica omosessuale più o meno discreta, Oscar Wilde avrebbe dovuto rispettarla e astenersi dalle sue sfidanti ostentazioni e abitudini.
Questo Giudicante, levandosi per un attimo la toga, crede che la morale sia una questione del tutto personale, purchè le condotte che ne derivano non ledano altre persone.
Ma rimettendosela non può che proclamare l’imperio della legge, di qualunque legge.
Il signor Oscar Wilde viene, dunque, dichiarato colpevole del reato ascrittogli.
Il Giudicante, nell’ambito dell’elasticità che gli è consentita dalle regole processuali, farà tuttavia esercizio di ragionevole indulgenza verso il signor Oscar Wilde, ma lo farà a beneficio dell’umanità.
Condanno Oscar Fingal O’Flaherty Wills Wilde alla pena alternativa domiciliare, per il tempo necessario a che egli realizzi le sue dolenti opere “De Profundis” e “La ballata del carcere di Reading”, delle quali la cultura non può fare a meno.
La pena verrà scontata presso al casa aperta agli scrittori della Fondazione Santa Maria Maddalena, in Donnini, Firenze, voluta da Gregor Von Rezzori e dalla moglie Beatrice Monti, il fine di creare per gli scrittori ospiti le migliori condizioni di pace, serenità e concentrazione.
Il processo è concluso.
Locandina Coraggio delle proprie idee – Processo Oscar Wilde